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Arcobaleno: colori e pensieriGianluca Mannella e Giuseppe Airò

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Pro-memoria: Max Weber

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Prisma

 

«Se un uomo potesse mantenersi sempre sul culmine dell'attimo della scelta, se potesse cessare di essere uomo […] sarebbe una stoltezza dire che per un uomo può essere troppo tardi per scegliere, perché nel senso più profondo non si potrebbe parlare di una scelta. La scelta stessa è decisiva per il contenuto della personalità; con la scelta essa sprofonda nella cosa scelta; e quando non sceglie, appassisce in consunzione. Per un attimo è o può parere, che si sceglie tra possibilità estranee a chi sceglie, con le quali egli non sta in nessun rapporto e verso le quali si può mantenere in stato di indifferenza. Questo è il momento della riflessione. […] Quando si parla di scelta che riguardi una questione di vita, l'individuo in quel medesimo tempo deve vivere; e ne segue che è facile, quando rimandi la scelta, di alterarla, nonostante che continui a riflettere e riflettere […]. Si vede allora che l'impulso interiore della personalità non ha tempo per gli esperimenti spirituali. Esso corre costantemente in avanti, e pone, ora in un modo ora nell'altro, i termini della scelta, sì che la scelta nell'attimo seguente diventa più difficile […]. Immagina un capitano sulla sua nave nel momento in cui deve dar battaglia; forse egli potrà dire: bisogna fare questo o quello; ma se non è un capitano mediocre, nello stesso tempo si renderà conto che la nave, mentre egli non ha ancora deciso, avanza con la solita velocità, e che così è solo un istante quello in cui sia indifferente se egli faccia questo o quello. Così anche l'uomo, se dimentica di calcolare questa velocità, alla fine giunge un momento in cui non ha più la libertà della scelta, non perché ha scelto, ma perché non lo ha fatto; il che si può anche esprimere così: perché gli altri hanno scelto per lui, perché ha perso se stesso. […] Quando si crede che per qualche istante si possa mantenere la propria personalità tersa e nuda, o che, nel senso più stretto, si possa fermare o interrompere la vita personale, si è in errore. La personalità, già prima di scegliere, è interessata alla scelta, e quando la scelta si rimanda, la personalità sceglie incoscientemente, e decidono in essa le oscure potenze.»

Lunga, ma doverosa citazione; la drammaticità e l’importanza della scelta sono espresse in maniera precisa e travolgente. Se il discorso sulla scelta fosse ulteriormente approfondito, sicuramente il libro (Kierkegaard, Aut-Aut, 1843) sarebbe stato più vicino al titolo e a ciò che ne riportano i manuali di filosofia. Ma così non è.
Aut-aut dunque, ovvero o questo-o quello, senza mezze misure. La scelta è disgiunzione, separazione, divisione, rinuncia ad una parte che non tornerà o che, se potrà essere riproposta, lo farà in un momento diverso. E la scelta potrebbe essere di nuovo diversa, poiché essa è legata al momento. In un momento si potrebbe scegliere una via, in un altro successivo si potrebbe scegliere il suo opposto.
La scelta è complicata, articolata, paralizzante. Con la proiezione nella molteplicità delle possibilità, la scelta immobilizza. Non si sceglie, ma si riflette sulla scelta. Come il capitano della nave.

Dopo tutta la fatica che si affronta per scegliere, si spera che almeno sia ripagata e si intraprenda la strada giusta. Invece, ecco cosa dice Kierkegaard: «
Sposatevi: ve ne pentirete. Non sposatevi: ve ne pentirete ancora. O che vi sposiate, o che non vi sposiate, ve ne pentirete in ogni caso. Ridete pure delle sciocchezze del mondo: ve ne pentirete, piangete su di esse e ve ne pentirete ancora o che ridiate delle sciocchezze del mondo o che piangiate su di esse, ve ne pentirete in ogni caso. Fidatevi di una ragazza: ve ne pentirete. Non fidatevi di essa, ve ne pentirete ancora - o che vi fidiate di una ragazza o che non vi fidiate, ve ne pentirete in ogni caso. Impiccati: te ne pentirai. Non impiccarti, te ne pentirai ancora - o che t’impicchi o che non t’impicchi, te ne pentirai in ogni caso. Questi, miei signori, è il succo di tutta la saggezza di vivere.»
Dato che, qualsiasi sia la scelta fatta, ne seguirà di sicuro il rimorso per ciò che non è stato scelto, quel che conta è come si affronta la scelta, con quale energia, con quale passione. Scegliendo, la personalità si fortifica. Direi che praticando la scelta si conoscono i trucchi, i modi più consoni per pensare, il peso da dare alle varie alternative, il tempo da dedicare, la considerazione da offrire alle arringhe della ragione e ai salti dell’istinto.

Spingiamoci un po’ più in avanti. C’è una scelta principale da affrontare: dobbiamo sceglierci. Fino a quando non abbiamo piena coscienza della nostra persona, non possiamo scegliere veramente. Ci appigliamo a qualcosa di esterno a noi, che ci distoglie dalla comprensione di ciò che siamo. Kierkegaard propone alcuni esempi di persone che mettono al centro della propria vita qualcosa di esteriore, rifiutando la propria personalità.
Innanzitutto c’è il playboy, il don Giovanni citato anche troppo, che vive soltanto per conquistare donne. Ma anche il bravo e fedele innamorato può sbagliare, se mette al centro la sua amata come unico fine, dedicandosi tutto a lei.
Fin qui, tutto può sembrare vicino al senso comune. Ma Kierkegaard aggiunge: «Si ha un talento pratico, un talento mercantile, un talento matematico, un talento poetico, un talento artistico, un talento filosofico: la soddisfazione della vita, il godimento, è cercato nello sviluppo di questo talento. Forse non si rimarrà fermi al talento nella sua spontaneità, lo si educherà in tutti i modi, ma la condizione per la soddisfazione nella vita è il talento stesso, che è una condizione che non è posta dall’individuo». Ovvero, non bisognerebbe lasciarsi trascinare troppo da quel che si fa, da quel che si sa fare bene, tendere alla perfezione: avremmo così soltanto un lato completo (forse), ma tutte le altre nostre sfaccettature restano bianche.
Perfino il mistico viene considerato un uomo che non vive alla maniera giusta, poiché «chi può negare che l’uomo deve amare Dio con tutta la sua anima e tutto il suo pensiero […]? Non ne consegue affatto però che il mistico debba disprezzare quell’esistenza, quella realtà in cui Dio l’ha posto». Viene subito da pensare alle suore di clausura, sulle quali recentemente si è risollevata la questione sulla loro funzione all’interno della Chiesa, e se fosse giusto permettere di condurre una vita isolata in nome di Dio.

Il libro affonda nelle descrizioni delle varie possibilità di vita incorretta, sempre secondo la concezione di Kierkegaard, e propone successivamente un modello positivo. Ma scegliendolo, potremmo pentircene.

Meglio una rassegna critica su cose che ci riguardano, anziché una lista di precetti da seguire. Costruire è difficile, distruggere lo è di meno: ma fa bene lo stesso.

 

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"Sleep", Dalì, 1937

 

Un uomo che dorme, si riposa, riprende le sue forze dopo giornate intense. Non è proprio un uomo intero, è solo la sua testa: il centro del suo pensiero.
Ha gli occhi chiusi, non osserva più niente; ha anche un telo sull’orecchio, così da non poter essere disturbato da alcun rumore. È da solo.
I pensieri non sono sorretti dal corpo, ma dalla mente. Essa si regge su dei paletti, su delle idee fondamentali, che la mantengono integra e solida.
Ma siamo sicuri che quei fragili e sottili legnetti possano tenere per tanto tempo sollevata quella grande testa? Sono ben posizionati? Sembra che anche un flebile soffio possa spostarli, e con essi far cadere giù tutti i concetti contenuti in quel cranio.
E poi, c’è anche un’asta che non tiene nulla, più alta delle altre, che forse si sta abbattendo sul dormiente. Forse un’idea nuova, un’idea diversa, che scalcia via le altre.
Non possiamo essere assolutamente sicuri delle nostre idee: ne possiamo apprendere sempre altre, magari più forti e che si adattano meglio alla forma della nostra mente. Ogni mente ha la sua forma, e per ogni mente ci sono i paletti appropriati per sorreggerla nel sonno. C’è chi ne prova alcuni e sceglie i più appropriati; e chi ne piglia un paio e li posiziona casualmente.
Chi sceglie le idee criticamente, avrà una mente con solide basi; chi prende dei sostegni soltanto istintivamente sarà più soggetto alle cadute, e non penserà comunque di cambiarli.

Ecco cosa mi fa pensare il quadro Sleep di Salvator Dalì, del 1937
 

 

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SMS
(Short Message Scientific)

SMS: Short Message Scientific
 

Quattro per uno

Medicina, biologia, chimica e ingegneria. Cosa possono avere in comune queste quattro discipline?
Apparentemente nulla, ma insieme fondano l’ingegneria tessutale.
La medicina conosce bene il corpo umano, la biologia le sue cellule, la chimica le sue reazioni: perché quindi non sfruttare le capacità progettistiche dell’ingegneria, unendo le altre tre scienze, e produrre parti del corpo umano?
Sembra impossibile, ma già è realtà: oggi si è capaci di ricostruire zone lese della pelle (ustionate, per esempio) con i prodotti dell’ingegneria tessutale.
Anche per la ricostruzione di parti delle ossa si sono ottenuti risultati positivi, e adesso si tenta la riproduzione di organi più complessi.
Potremmo in futuro disporre di “pezzi di ricambio” per i nostri corpi, senza incorrere in grandi rischi come il rigetto nei trapianti.
 

 

 

Per informazioni, critiche, suggerimenti ed altro: gianlucamannella@hotmail.com

 

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