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Racconti Incantati

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"Racconti Incantati", di Rocco Chinnici
www.roccochinnici.it
di ROCCO CHINNICI e-mail: rocco@roccochinnici.it

Il vecchio Pietro


     «Giovanni, Giovanni! Non ne posso più! Si deve pur vedere cosa ha da farsi! È da stamattina che giro per casa come una matta».
     «Sii buona, Concetta, cerca di capire; non è poi così difficile, sai? Sei tu che vuoi farne un dramma per sbarazzartene; pensaci un po’», continuò Giovanni «non è un soprammobile, sai? Che devo fare? Dimmelo! Ricorda che alla fine si diventa tutti vecchi… e allora?».
     Era da qualche tempo, oramai, che quella storia si trascinava; spesso erano dovuti intervenire i vicini per sedare le liti tra i due. Giovanni, buonuomo, tutto casa e lavoro, tornando a casa, dopo il duro lavoro nei campi, doveva sempre vedersela con la moglie Concetta, la quale, per la sua agiata provenienza, abituata nella casa paterna alla servitù e beni d’ogni genere, le veniva difficile ora avere a che fare con il vecchio Pietro che, per la sua veneranda età e gli acciacchi ereditati dalla dura vita campestre, era costretto a stare quasi sempre seduto e quindi a dover chiedere, ogni qualvolta ne aveva bisogno, aiuto alla nuora.
     Una situazione che per Concetta era divenuta pesante; tanto che spesso rimproverava il marito di non darle ascolto, quando gli suggeriva di portare suo padre all’“Ospizio”.
     «Questa, dove abitiamo, è la casa che s’è costruita mio padre con grandi sacrifici!» continuava a ripetere il marito. «Egli ha qui dentro tutti i suoi ricordi! Lo capisci o no? Come faccio a toglierlo da qui? Come posso portarlo in un posto dove sicuramente soffrirebbe di più nel vedersi abbandonato, dopo ciò che ha fatto per i figli?».
     Sette figli, e tutti emigrati per l’Italia in cerca di lavoro; qualcuno s’era già impiantato con la propria famiglia in una di quelle città, e Gianni, terzogenito, avendo trovato lavoro a Belmonte Mezzagno, paese natìo della famiglia, era rimasto ad abitare nella casa paterna, dove già da anni, morta la moglie, il papà viveva da solo.

     La storia continuava a trascinarsi da lungo tempo; erano già venuti al mondo Pietro e Vincenzino. Pietro, non appena il nonno apriva bocca, subito gli era accanto.
     «Cosa vuoi, nonno? Come stai?».
     «Ho solo dato un colpo di tosse, caro il mio Pietro; su, giacché sei qui siediti, voglio raccontarti una storia. Devi sapere che tantissimi anni fa, quando la fame e la miseria abitavano quasi tutte le case del nostro piccolo paese…».
     «Ancora con le favole! E i compiti?» interveniva Concetta, inviperita. «Su, vieni a studiare, se non vuoi diventar somaro», quasi che essa non digerisse nemmeno i racconti narrati dal vecchio al piccolo Pietro.
     «Ma, mamma!».
     «Niente mamma!» continuava la donna, borbottando sottovoce frasi verso il vecchio che, a causa della sopraggiunta cecità, non riusciva a scorgere la nuora e a capire quanto essa mugugnasse.
     Il tempo passava, i piccoli cominciavano a farsi adulti; e per il vecchio Pietro gli anni diventavano sempre più pesanti.
     I diverbi tra marito e moglie, anziché cessare, crescevano sempre più, tanto che il marito, per evitare che i figli continuassero a sentire le lamentele, si convinse a portare il padre in quella casa per anziani: l’“Ospizio”.
     E così, un giorno e di buon mattino, mentre i figli e la moglie dormivano, si mise in spalle il povero padre e iniziò a percorrere la strada per Palermo.
Non esistevano mezzi di trasporto a quei tempi. Lungo la strada… o, meglio, il viottolo che sale per la scorciatoia che da Belmonte porta alla città, vi era, e c’è tuttora, uno spiazzo, un grandissimo spiazzo con un’enorme quercia dove ancora oggi nidifica l’usignolo, e al centro una piccola sorgente, “
’a Giarritedda”. Giovanni, stanco e sudato, si fermò per riposare e bere un po’ d’acqua; adagiò suo padre su una grossa pietra accanto alla sorgente ed emise un rantoloso sospiro: «Ah!».
     Il vecchio Pietro d’un colpo capì quanto stava avvenendo e disse al figliolo: «Eh, figlio mio, anch’io ebbi a tirare un rantoloso sospiro, quando adagiai qui mio padre, proprio in questo posto, dove ora tu hai adagiato me, mentre lo portavo all’“Ospizio”».
     Giovanni rimase impietrito a guardare suo padre, e capì quanto egli aveva detto e il significato di quelle parole; si rimise il padre sulle spalle e, anziché dirigersi verso Palermo, fece la via del ritorno.
     Pensava e ripensava, lungo la strada, a quelle parole dette da Pietro: «Anch’io sedetti mio padre e tirai un rantoloso sospiro, in questo posto, dove tu ora hai adagiato me».
     Quelle parole pesavano più di quanto egli portasse sulle spalle.
     «E mio figlio?» pensò. «Mio figlio, quindi… avrebbe dovuto un giorno non tanto lontano… per questa strada…».
     Era orribile quanto pensava; ma era pur vero che, per accontentare le isteriche voglie di sua moglie… li avrebbe educati…
     «Certo! La moglie!» continuò a pensare. «Aspetta che torno a casa e sentirai cosa ho da dirti!».

     «Parli con me, Giovanni?» fece Pietro, mentre il sole cominciava a sciogliere la rugiada mattutina e l’usignolo a riprendere il suo soave verso.

Rocco Chinnici                    


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